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A Classic Horror Story: trama, recensione e trailer dell’horror Netflix italiano

In esclusiva streaming su Netflix il 14 luglio 2021 A Classic Horror Story, film diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli (anche sceneggiatori con Lucio Besana, Milo Tissone e David Bellini). Ecco il trailer:

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Quando uscirono il teaser e le foto Il Sorpasso Cinema, esperto di tradizione italiana, ci vide chiare suggestioni nostrane: Zombi 2 di Lucio Fulci, Suspiria di Dario Argento e La maschera del Demonio di Mario Bava (oltre che il richiamo a La casa di Sam Raimi).
Il film vede come protagonisti principali Matilda Lutz, Francesco Russo, Peppino Mazzotta, Yulia Sobol, Will Merrick, Cristina Donadio e la piccola Alida Baldari Calabria (la figlia di Marcello Fonte in Dogman e la fatina di Pinocchio di Matteo Garrone).

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LA TRAMA di A Classic Horror Story

Cinque carpooler viaggiano a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa; ora c’è solo un bosco fitto e impenetrabile e una casa di legno in mezzo ad una radura. Scopriranno presto che è la dimora di un culto innominabile. Come sono arrivati lì? Cosa è successo veramente dopo l’incidente? Chi sono le creature mascherate raffigurate sui dipinti nella casa? Potranno fidarsi l’uno dell’altro per cercare di uscire dall’incubo in cui sono rimasti intrappolati?

A Classic Horror Story è diretto da Roberto De Feo (il discreto The Nest) e Paolo Strippoli (esordiente), da una sceneggiatura di Lucio Besana, Roberto De Feo, Paolo Strippoli, Milo Tissone, David Bellini.

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Il film è stato prodotto da Colorado Film e girato interamente in Puglia e a Roma (per 5 settimane di riprese), nonostante sia ambientato in Calabria.

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LA RECENSIONE di A Classic Horror Story

Se The Nest – Il nido, il film precedente (e d’autore) di Roberto De Feo, non ci era dispiaciuto (il suo esordio fu Ice Scream, girato a Hollywood in coppia con Vito Palumbo) diciamo subito che questo A classic horror story – un prodotto commerciale studiato con furbizia in ogni suo aspetto – non ci è piaciuto proprio, nonostante buona parte della stampa italiana (su Rotten Tomatoes attualmente ha il 20% di apprezzamento) sia rimasta entusiasta e ne abbia persino acclamato una presunta genialità. Il problema del film, insieme alla scarsissima attrattiva di personaggi, attori, recitazione e buona parte dei dialoghi, è il suo autoconvincimento di mostrare – senza nuovi stimoli – idee e atmosfere viste e riviste pensando invece di offrire allo spettatore qualcosa di nuovo, moderno e originale. È un horror senza stile che non cita con amore ma scopiazza senza sentimento. Non si capisce in che modo dovrebbe essere innovativo o sensazionale dato che basa le fondamenta su un’idea già vecchia e pure prevedibile (a differenza della sorpresa finale di The Nest). Perciò, senza particolare motivo se non per farne vanto, il film cita (o appunto si può dire copia) La casa, Quella casa nel bosco, Midsommar, Le colline hanno gli occhi, Shining, Misery non deve morire, Zombi 2, The village, Hostel, The wicker man, Antebellum e molti altri, anche più esplicitamente di questi.

Ma partiamo dall’inizio: una delle più belle canzoni della musica italiana di sempre (Il cielo in una stanza di Gino Paoli) accompagna l’incipit del film senza motivo e sprecando l’occasione. Nemmeno i grandi cineasti osano associare un capolavoro del genere alle loro immagini mentre De Feo e Strippoli senza farsi nessuno scrupolo lo piazzano in testa alla loro opera senza causare nessuno straniamento. Al contrario però ci regalano una delle cose migliori del film con l’abbinamento dell’altro brano celebre della pellicola, La casa (sì, proprio quella in via dei Matti n. 0). Un altro segnale positivo che ci regala la simpatia e l’autoironia del duo registico è la comparsa del loro credit insieme ad un conato di vomito, anche se forse i due giovani si sono presi lo stesso un po’ troppo sul serio. L’idea base del film, che dovrebbe essere il colpo di scena, è abbastanza prevedibile per vari motivi tra cui la presenza iniziale (che rimane pretestuosa per quasi tutto il film, come a volerlo far dimenticare) di un filmmaker calabrese nel gruppo di protagonisti. Il citazionismo e la cinefilia emergono anche dai dialoghi iniziali, peccato che per l’ennesima volta in un film italiano il sonoro sia pessimo e, in particolare nelle scene sussurrate, inascoltabile. La presenza del bilinguismo (solo) nella primissima parte della pellicola (uno dei ragazzi è americano) è chiaramente calcolata per rendere più allettante l’approccio al film Netflix per il pubblico straniero degli oltre 40 paesi (così come il titolo). Interessante, insieme alla colonna sonora, l’inserimento nella trama di leggende e credenze del Sud Italia, già sfruttate nel precedente horror Netflix Il legame. È interessante anche il riferimento alla ‘Ndrangheta all’interno della storia ed efficaci sono le tre “maschere” che compaiono nel film (ma a qualcuno potranno apparire ridicole). A mezz’ora dal termine la storia comincia a disvelare i suoi misteri. La presenza di Cristina Donadio di Gomorra la serie si limita ad un cameo e ad un certo punto l’eccessiva volgarità del linguaggio del filmmaker può risultare fastidiosa. Fastidio fisico, inquietudine e paura non sono invece pervenute e lo spettatore desidera arrivare al finale più che altro per curiosità. Quando ci si arriva però l’ironia grottesca non graffia. E la scena post-credit, elogiata da molti, è semplicemente (perdonate l’espressione) una paraculata (nemmeno così originale) che non fa altro che ricordarci e suggerirci di assegnare un pollice verso al film.

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