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Il mio corpo vi seppellirà – Recensione dell’action storico di Giovanni La Pàrola

Il mio corpo vi seppellirà di Giovanni La Pàrola è un caso cinematografico che, per motivi che vi verranno spiegati, non è semplice giudicare; senza dubbio non può essere liquidato con facili e tipici aggettivi. Prima di tutto è la dimostrazione che negli ultimi 5 o 6 anni il cinema italiano vive una vera e propria Restoration su molti fronti: attori, registi, storie, visual effects e soprattutto “generi”. La produzione è merito dell’intuitiva Olivia Musini di Cinemaundici e ancora una volta in un film di genere italiano (questa volta un “western borbonico”) c’è lo zampinino della Ascent Film di Matteo Rovere e Andrea Paris che sono entrati nel progetto dopo aver letto il soggetto del regista. L’opera seconda di La Pàrola arriva al pubblico a 15 anni dall’esordio (…E se domani) e prende spunto da un suo strepitoso corto del 2012, Cusutu n’coddu – Cucito addosso. Il film, girato nella primavera del 2018, dopo lunghe traversie di post-produzione è rimasto bloccato dalla pandemia. Il titolo è una citazione del western di Howard Hughes Il mio corpo ti scalderà (The Outlaw, 1943) e dal disco di Hole (il gruppo anni ’90 di Courtney Love) My Body, The Hand Grenade. E proprio dagli anni 90 arrivano le suggestioni che ispirano la pellicola, un B-Movie che mescola il genere Western con quello Storico e l’Action-Movie a tinte forti (con una strizzatina d’occhio al Cartoon). Andrebbe fatto un discorso lungo e complesso che riguarda il cinema post-moderno – a cui l’opera appartiene a pieno regime – ma forse si può semplificare con un piccolo esempio. Il personaggio di Lucia ( una delle “brigantesse” del film interpretato dalla splendida Margareth Madé) ha una benda sull’occhio e perciò è molto facile vederla come una novella Elle Driver (Daryll Hannah in Kill Bill) ma il buon Quentin a sua volta si ispirò al cinema del passato (Jena Plissken vi ricorda qualcosa?). Il riferimento a una donna con la benda (e fucile) viene dunque da Thriller (They call her one eye, 1973). Personaggi cinematografici così caratterizzati si trovano già negli anni 60 (il nostro Adolfo Celi in Agente 007 – Operazione tuono e John Wayne in Il grinta) fino a tornare ai ’90 del Twin Peaks di David Lynch (la Nadine Hurley di Wendy Robie). Questa fascinazione piratesca alla Willy l’Orbo si deve probabilmente al fatto che alcuni grandi maestri del passato avevano un occhio solo: come vedete qui sotto si chiamavano, nell’ordine, Fritz Lang, John Ford, Nicholas Ray, Raul Walsh. Il cinema rimescola il mazzo e gioca sempre con se stesso.

Questo per ricordare a chi noterà delle similitudini con Kill Bill, Bastardi senza gloria e Django unchained di non guardare il cinema con un occhio solo. Il mio corpo vi seppellirà echeggia Quentin Tarantino, il quale ha attinto a sua volta dai generi europei e orientali, infarcendoli di arti marziali e spunti Western, Thriller, Guerra, Horror che vengono dai nostri padri cinematografici. Giovanni La Pàrola non fa altro che riportare a casa la tradizione dei nostri Leone, Argento, Bava, Castellari ecc. L’operazione messa in atto dall’autore nasce da un’ottima intuizione: raccontare il 1860, la vigilia dell’Unità d’Italia (che questa settimana compie 160 anni), non come fece Luchino Visconti ne Il Gattopardo (1963), nato dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, bensì rimembrando che la situazione del Sud Italia non era molto diversa da quella del Far West, spietata in particolare con donne e bambini. Il regista, prima che da Tarantino e come quest’ultimo, è ispirato da Martin Scorsese (nel corto Il pugile rivisita a modo suo Toro scatenato) e alla sua tematica di appartenenza ad una terra, una tradizione, un’identità che in un percorso estetico fra religione e violenza lo ha portato a un film come Gangs of New York (il film più “western” del maestro italo-americano che iniziò il suo cammino nella settima arte guardando Rossellini, De Sica e Fellini). Anche l’Italia Unita è nata dal sangue e dalla ferocia.

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Fatta questa doverosa premessa per parlare di questa scheggia di bomba a mano lanciata ideologicamente nel panorama europeo va aggiunto che il film ha avuto delle avversità produttive dovute alle condizioni meteorologiche che hanno reso le riprese difficoltose come un film di Terry Gilliam (qui si vuole esagerare ma l’ambizione era smodata). Questo ha portato l’autore a rinunciare ad una dozzina di scene nelle quali compariva persino Giuseppe Garibaldi. Non è un film a basso budget né semplice da girare: prima di tutto è in costume (grande lavoro della sorella del regista, Cristina La Pàrola) poi necessita di attenzione quotidiana al trucco e agli effetti e in più c’è molta azione con stuntman, diligenze, cavalli e l’adorabile cane del regista, Tac. Tutto ciò lo si può riscontrare negli oltre 7 minuti di titoli di coda, roba da Hollywood. Come se non bastasse è un vero peccato che non sia possibile vederlo al cinema, è sufficiente il primo minuto di questo film per capire quanto ci manchi la sala (date un orecchio anche al lavoro sul suono e alla colonna sonora di Francesco Cerasi).

Il mio corpo vi seppellirà, se pur riuscito, rimane al di sotto delle proprie ambizioni ed è beffardamente una creatura di Frankenstein ricostruita al montaggio dal suo artefice, costretto a ricucirlo come fosse il sarto del film (interpretato da Filippo Pucillo). Orfana di molte scene importanti la struttura è cambiata ma lo spettatore non lo sa e non se ne accorge; per via del ritardo di oltre una settimana sulla tabella di marcia molti ciak vengono dati buoni alla prima ripresa ma anche qui gli attori sono straordinari a non farcelo notare, uno su tutti Guido Caprino, tra i migliori attori italiani in circolazione.

Nonostante questo l’autore (che ha scritto la sceneggiatura con Alessia Lepore e montato il film con la collaborazione di Davide Vizzini) riesce a miscelare bene tempi pacati (la scena nella grotta dura 13 minuti) e improvvise accelerazioni (ad esempio il salvataggio di Maria/Antonia Truppo), tiene sulle spine con lunghi flashback e flashforward, diverte con sequenze come quella della lettera di riscatto e gioca bene col dialetto siciliano (ma il film è girato nelle Murge, in Puglia). Riesce persino a ricordarci che quella era l’Italia de I promessi sposi di Manzoni (meno di vent’anni prima fu pubblicata l’edizione definitiva) e nel finale, comunque la si voglia vedere, ci stupisce.

Il cinema ambizioso è così, prendere o lasciare. Non tutti vogliono o sanno farlo. A molti piacerà, a molti no, difficile rimanere totalmente indifferenti. Non spicca per originalità ma paradossalmente ne ha. Il western poi è stato un genere sacro: morto, sepolto e risorto. Sam Raimi (La casa, Spiderman) ne girò uno col suo stile adrenalinico e contaminato (Pronti a morire nel 1995), con protagonista una donna, Sharon Stone, e interpretato da Leonardo DiCaprio, Gene Hackman e Russel Crowe. Non piacque alla critica e pochi lo ricordano. Il Cinema è così, e anche se si può vedere On Demand ci manca da morire.

Switchblade Sisters(1975)

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