Italian cinema Recensione

Tutto il mio folle amore: Salvatores più vivo che mai (No Spoiler)

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Il cinema italiano negli ultimi anni è riuscito a stupirci con storie fuori dai soliti canoni e con uno stile esportabile oltre ogni confine. Gabriele Salvatores ha avuto una carriera davvero singolare, dopo il premio Oscar a Mediterraneo ha scommesso su film sempre diversi e rischiosi (Nirvana, Denti, Amnésia, Happy family, Educazione siberiana, Il ragazzo invisibile) con risultati altalenanti o non del tutto convincenti. Per questo siamo lieti di affermare che Tutto il mio folle amore è uno dei suoi film più belli e riusciti. Sembra proprio che il regista avesse voglia di tornare a battere le ali, di dare sfogo a tutto il suo talento. Un talento che c’è sempre stato ma che qui si può definire in stato di grazia. I colori, i costumi, l’illuminazione degli ambienti, le locations scelte appositamente per creare un cinema sognante, che si distacca dalla realtà come i suoi personaggi. L’intreccio presenta alcuni luoghi comuni del racconto di formazione, prende il via con un escamotage curiosamente simile al bellissimo Ovunque Proteggimi (B. Angius, 2018) e diventa un film di viaggio come le prime pellicole del regista. Ma è un’opera molto diversa, un itinerario bizzarro nell’Est Europa che ci ricorda quanto fossero vivi i primi film di Kusturica.

 

In stato di grazia anche gli attori da lui diretti, irresistibile Claudio Santamaria  (un “Modugno dell’Est” con baffetti e basette: il titolo viene dal brano “Cosa sono le nuvole”) soprattuto nell’ampia presentazione del suo personaggio, ma anche Abatantuono e la Golino pur avendo meno spazio si lasciano andare con maestria. Recitano modulando la voce nel migliore dei modi per rendere sincere anche le battute delle scene meno verosimili che a sprazzi fuoriescono dalla sceneggiatura fantasticata su personaggi realmente esistiti (un padre in viaggio con il figlio autistico) e tratta dal libro Se ti abbraccio non aver paura. Lo script è di Umberto Contarello (con Sara Mosetti) sceneggiatore di tre film di Sorrentino, e si percepisce, ma attenzione: anche di Marrakech Express. Tra piccoli episodi e dettagli che straniscono (mai stridono, fortunatamente) e scene emotivamente molto riuscite, il racconto resta unito e prosegue tutto d’un fiato, si sorride teneramente e si ride anche un bel po’. Merito in gran parte della scoperta di Salvatores, lo stupefacente Giulio Pranno che è il motore vibrante del film, col quale “viaggiano” tutti i personaggi della storia. Davvero straordinario questo esordiente bello e giovanissimo (gli auguriamo il successo del 19enne DiCaprio, egregiamente affetto d’autismo in Buon compleanno, Mr. Grape), un tutt’uno con la stravaganza del suo personaggio, che contagia qualsiasi cosa che Salvatores mette in scena. Perciò non fatevi troppe domande, soprattutto sul finale. Dopo soli dieci minuti si ha l’impressione che la visione sarà piacevole e fuori dai canoni di cui si parlava nella prima riga. Stupore per stupore, quello di un adolescente è unico, chiunque esso sia.

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Franco e Andrea Antonello, padre e figlio a cui si ispira la storia. Giulio Pranno li ha incontrati, insieme a diversi ragazzi autistici

 

 

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