Italian cinema Recensione

La terra dell’abbastanza – Recensione / I film dell’anno

Gli effetti di Gomorra sul cinema italiano? Forse sì. O forse no. Esordio notevole dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo che a quanto pare prima di questo lungometraggio non avevano girato nemmeno il video di una comunione (avevano scritto un paio di corti). Motivo per cui i due autori si sono avvalsi – così hanno dichiarato – di ottime maestranze (Carnera, Spoletini, Bonfini e altri artisti che hanno lavorato a salario ridotto) per imparare sul campo e mettere al servizio della loro storia i vari mestieri del cinema. Ci auguriamo sin da subito un futuro roseo per questi nuovi cineasti classe ’88.

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La terra dell’abbastanza (il cui titolo vuole parafrasare il wendersiano La terra dell’abbondanza mentre il titolo internazionale Boys cry la celebre canzone dei The Cure) parte subito col “botto”. I due giovanissimi Manolo (Andrea Carpenzano che ha esordito come protagonista in Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni) e Mirko (Matteo Olivetti stella nascente da tenere d’occhio) stanno mangiando in auto e con la bocca piena ridono scioccamente chiedendosi come sarà il loro futuro e cosa dovranno mai fare per campare quando accidentalmente investono un passante. La disgrazia si trasforma presto in una possibilità di svolta per la loro vita: l’uomo era un pentito ricercato da un clan rivale e incoraggiati nientemeno che dal padre di Manolo (Max Tortora in un inusuale ruolo drammatico) ai due si spalancano le porte della malavita, sia come killer che per altri loschi traffici. Le loro vite cambieranno radicalmente, forse un po’ troppo rapidamente ma i D’Innocenzo ci vogliono proprio far riflettere sul fascino istantaneo e avvolgente della “cattiva strada”. La storia procede spedita dando molta attenzione al personaggio della madre di Mirko (prova superba di Milena Mancini) fino allo spiazzante plot twist alla fine del secondo atto che condurrà all’inevitabile amaro finale.

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Il film è nato dall’interessamento dei produttori Agostino, Giuseppe e Maria Grazia Saccà riguardo la sceneggiatura proposta dai due ragazzi ed insieme al resto della troupe hanno scommesso sul folgorante script. Bisogna ammettere che La terra dell’abbastanza è un film ben scritto per essere nato dalle mani di due principianti del cinema, precedentemente interessati a fotografia, pittura e poesia. Anche se alcune motivazioni dei personaggi sono un po’ deboli e la costruzione degli archi di trasformazione dei protagonisti è troppo sbrigativa, espressivamente la storia è rafforzata da poche ma buone sospensioni narrative create magistralmente con il montatore Marco Spoletini miscelando rallenty e soundtrack. A proposito della banda sonora è un peccato che il film non sia esente da un tipico difetto di alcuni film italiani: gli attori in qualche passaggio sbiascicano o sussurrano il copione al limite della comprensione uditiva.

Leggi la recensione di Favolacce 

Uno dei migliori film italiani del 2018 ( il cui plot – a bordo di un’auto scontrarsi casualmente con un criminale – é lo stesso dei dimenticabili Un nemico che ti vuole bene e Uno di famiglia), che forse segna la nascita di due nuovi autori nel nostro panorama cinematografico, sempre più lanciato anche all’estero: parlano i risultati di Guadagnino agli Oscar e di Garrone e Rorhwacher a Cannes. Dopo il successo di critica lo scorso febbraio al Festival di Berlino il film è freschissimo di 3 candidature ai Nastri D’Argento: migliori costumi, migliori produttori, migliori registi esordienti (quest’ultimo da giocarsi col Donato Carrisi de La ragazza nella nebbia) e i due fratelli stanno già preparando il prossimo film (Ex vedove) e parteciperanno al Sundance Lab. Ad alcuni potrà sembrare un crime drama come tanti ma la pellicola, pur non essendo memorabile, ci racconta uno spaccato di personaggi di periferia difficile (con bravura eccezionale di tutto il cast) in modo molto solido e coinvolgente asciugando parecchio la tecnica caratteristica del realismo come la camera a mano, i “pedinamenti zavattiniani” e i primi piani, a favore di camera fissa su campo lungo, silenzi e sospensioni oniriche. Il film è anche uno dei migliori italiani del decennio

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